Spaceman: il finale

Il gigantesco ragno alieno doppiato da Paul Dano è reale? Jakob e Lenka torneranno insieme? Ecco le risposte alle tue domande

Spaceman

-SPOILER ALERT – Questo articolo contiene importanti informazioni sul finale del film Netflix Spaceman –

Ormai è risaputo che Adam Sandler sia un attore estremamente talentuoso e versatile (e se non la pensi così, forse non hai ancora visto Diamanti Grezzi). “Spaceman” rappresenta solo l’ultimo film di una serie di scelte sagge che hanno portato l’attore, noto per i suoi ruoli comici, a mettersi alla prova con narrazioni che approfondiscono le emozioni e l’umanità dei personaggi. Negli ultimi anni, Sandler si è cimentato sempre di più in progetti che offrono agli interpreti l’opportunità di mostrare appieno le proprie capacità in una vasta gamma di registri. Non si tratta più solo di umorismo giovane e un po’ grossolano, ma di autenticità.

È giusto dire che “Spaceman”, e lo diciamo in tono positivo, è uno dei film più strani mai realizzati da Sandler. (Sì, anche più strano di “Little Nicky – Un Diavolo a Manhattan”). In questi 100 minuti, questo progetto di fantascienza, tecnicamente non convenzionale, vede Sandler interpretare Jakob, un astronauta ceco in rotta verso una gigantesca nuvola rosa apparsa improvvisamente vicino a Giove… La sua missione solitaria si svolge ai limiti del sistema solare. E Lenka, sua moglie interpretata da Carey Mulligan, lasciata sulla Terra, si sente altrettanto isolata, pur rimanendo connessa attraverso una linea privata alla sua navicella. Ma non è tutto: nel cast principale del film c’è anche un gigantesco ragno alieno (doppiato da Paul Dano) che compare all’improvviso sulla nave di Jakob. Inizialmente minaccioso nelle sue proporzioni e nell’aspetto, si rivela presto benevolo e saggio, quasi una sorta di Yoda con un numero infinito di occhi.

«[Paul] è stata la scelta ideale fin dall’inizio. Lo adoro. Ha una cadenza peculiare quando parla. Sa essere inquietante… e in effetti nel suo personaggio si nasconde dell’inquietudine», racconta il regista Johan Renck via Zoom. «Ha anche un che di patetico, per certi aspetti».

Per la maggior parte del film, vediamo questi stravaganti personaggi – Sandler e Dano nella forma di un ragno extraterrestre – impegnati in una routine di mangiare, dormire e… beh, fare il necessario, tutto all’interno di un solitario barattolo di latta in stile minimalista sovietico lanciato nello spazio profondo. Una routine che è in realtà un lungo dialogo in cui il ragno psicanalizza l’astronauta, offrendo molte scene che potrebbero ispirare gli uomini di tutto il mondo a cercare terapia, preferibilmente da uno specialista con otto gambe. (Nota a margine: Sandler ha affrontato la maggior parte delle sue battute rivolgendosi a una pallina da tennis, poiché il ragno è stato reso completamente in CGI).

Il film, a tratti espressionista e iperstilizzato, lascia deliberatamente ambigua la risposta alla domanda più interessante per lo spettatore: il ragno che Jakob vede è reale o è solo una manifestazione della sua mente, il prodotto della solitudine, del dolore e del senso di colpa? L’alieno insiste sul fatto che non è solo frutto dell’immaginazione dell’astronauta, ma… beh, dobbiamo davvero credere a un ragno alieno gigante solo perché lui lo dice?

«È reale al cento per cento», afferma Johan Renck nella nostra chiamata su Zoom. E questa risposta potrebbe sorprendere alcuni spettatori. «Sai, Spaceman non è Il pasto nudo [di David Cronenberg], non è niente di simile. Non è Kafka. Se non si considera reale il ragno Hanuš, l’intero film perde il suo significato e [la domanda che pone diventa] cosa è reale allora?», continua. «Lo spazio [del film] non funziona secondo le nostre regole fisiche. Ad esempio, Hanuš parla quando è fuori dall’abitacolo. Lo spazio è un vuoto. Il suono non esiste nello spazio. Non c’è nulla che possa vibrare… Inoltre, Hanuš si muove nello spazio. Ma non si può. Non puoi nuotare nello spazio. Non è possibile alcun tipo di propulsione muovendo gli arti».

Il viaggio di introspezione che Jakob intraprende, aiutato anche dal suo ragno-dottore, lo porta a realizzare, fondamentalmente, che deve smettere di comportarsi da idiota. In questo senso, “Spaceman” si conclude con una nota romantica e piena di speranza, con Jakob che si riconcilia con Lenka al telefono. Un notevole scarto dalla conclusione del racconto originale, il romanzo “Spaceman of Bohemia” di Jaroslav Kalfař del 2017, in cui si presume che Jakob sia morto e che, nello spirito, ritorni nella casa della sua infanzia per vivere i suoi giorni da solo.

«La cosa più difficile in assoluto quando fai un film è la fine… ed è qualcosa con cui giochi per l’eternità, è davvero difficile», afferma Renck, che dice anche che «ogni film è il prodotto del tempo in cui è stato realizzato». Approfondendo ulteriormente, aggiunge: «Il mio primo film, circa 15 anni fa, è stato realizzato nel bel mezzo di un divorzio, ero dannatamente infelice; era il film più nichilista, incasinato e oscuro mai realizzato, considerando chi ero in quel momento. Abbiamo girato questo film durante la pandemia e sono accadute anche altre cose: tutti noi eravamo in lockdown ed eravamo anche a un passo dalla guerra in Ucraina. Sono successe così tante cose diverse ultimamente». E continua: «Personalmente ho avuto la forte sensazione di [voler] trasmettere speranza. Non penso che qualcuno voglia o abbia bisogno di altro che ci spezzi il cuore».

Detto questo, per ammissione dello stesso Renck, inizialmente la storia non finiva con una nota così positiva. Anzi, era proprio il contrario. «Le primissime versioni del finale di questo film vedevano un Jakob che aveva capito quanto aveva sbagliato ed era pronto a essere una persona migliore, uscire nello spazio, allontanarsi e morire, lasciando Lenka libera di fare il suo e trovare una persona con cui essere più felice», scopriamo dal regista. «Di per sé era interessante, ma allo stesso tempo desideravo che le persone uscissero dalla visione del film con un senso di speranza. Non necessariamente un lieto fine in cui marito e moglie sarebbero tornati assieme. [Ma] una soluzione in cui, almeno, ci provavano».


 

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