A volte le circostanze si presentano in modo straordinario. Hugh Jackman aveva promesso fermamente di non interpretare più il ruolo di Wolverine e di affilare gli artigli di adamantio. Con Logan, aveva concluso un capitolo importante nella sua carriera cinematografica. Tuttavia, l’amico Ryan Reynolds, alias Deadpool, è riuscito a far cambiare idea all’attore (Deadpool e Wolverine, in arrivo il 24 luglio). Attorno a questo ritorno sorprendente ma gradito al cinema, l’amatissimo X-men è “risorto” anche in un nuovo progetto podcast, completamente in italiano. Si tratta di “Wasterlanders: Wolverine” della Marvel, la quarta stagione di un format di successo che questa volta vede protagonista l’uomo d’adamantio, con la voce di Sergio Rubini.
Nella storia di Wolverine, lo troviamo più traumatizzato che mai a causa della perdita degli Avengers. Un’inaspettata alleanza con una mutante in fuga di nome Sofia riaccende la sua ferocia. Naturalmente, l’attore, interrogato sulla trama, evita accuratamente gli spoiler, ma, sentendosi parte della comunità di fan, condivide il suo rapporto con i supereroi, personaggi che rappresentano qualcosa di diverso rispetto ai ruoli a cui siamo abituati. “Avevo già fatto audiolibri, ma mai un podcast. Iniziare con uno di questa portata, sui supereroi Marvel, interpretando un personaggio così malinconico e depresso, ma chiamato a salvare il mondo… mi è sembrato un ottimo inizio. La proposta era eccezionale e mi sono divertito molto ad affrontare questa sfida”, spiega, raccontando le origini della sua interpretazione di Wolverine. I mutanti sono una metafora della società che esclude il diverso, mentre Rubini è un artista sensibile ai temi socioculturali.
Quale valore attribuisce, quindi, a questa avventura tra gli X-men?
“Il nostro mondo ha bisogno di essere salvato dalle guerre, dalla distruzione dell’ambiente e da altri problemi. Ma per farlo, abbiamo bisogno di intelligenza e umanità, come dimostra Wolverine quando desidera essere chiamato Logan per sottolineare la sua umanità”, afferma. E aggiunge: “Anche se il Novecento è finito, la missione dei mutanti sembra ancora estremamente attuale nei tempi moderni”. Prima di questo podcast, non aveva una grande conoscenza dei fumetti e dei cinecomic Marvel. “Da giovane, mi piaceva Capitan America, ma crescendo mi sono allontanato dai supereroi per storie più realistiche”, ricorda. Tuttavia, il presente è diverso: “Questa esperienza mi ha riportato a quella dimensione. Non solo mi ha divertito, ma mi ha fatto riflettere, mi ha colpito, mi ha fatto considerare la frustrazione di non poter cambiare le cose ma doverle subire”. Anche se non ha seguito i cinecomic, è stato per motivi professionali più che per preferenze personali. “Non li ho visti perché di solito non leggo la fonte originale quando affronto progetti di trasposizione. Con gli audiolibri è diverso: puoi ascoltarli mentre cammini, guidi o cucini”, sottolinea. “Non solo è qualcosa che mi piace registrare, ma è anche qualcosa che ascolto sempre con piacere. Ad esempio, quando sono in treno”. Ma c’è di più.
Il podcast in un certo senso fa parte del suo DNA (“in quanto regista radiofonico, nato con i ‘radiodrammi’, gli antenati dei podcast di oggi”). La ragione pratica per cui ha evitato i cinecomic con lotte e adamantio è semplice (e si è dimostrata efficace): “Senza immagini, l’audio ti spinge a usare la tua immaginazione”. Nel suo caso, questo è stato estremamente utile. Infatti, Sergio Rubini ha realizzato “Wasterlanders: Wolverine” in soli tre giorni. Ma non è stato un lavoro faticoso.
“Ogni lavoro porta con sé una certa pressione e in questo caso era associata a un senso di solitudine, uno stato che mette alla prova le tue debolezze”, racconta del momento iniziale, ma poi ha pensato ai grandi doppiatori italiani del passato da cui ha imparato una lezione importante. “Se pensi ai grandi doppiatori italiani del passato, come quelli che hanno dato voce a Robert De Niro – Ferruccio Amendola e Stefano De Sandro -, allora ti confronti con grandi maestri che hanno umanizzato i personaggi, con voci straordinarie”, chiarisce in una sorta di premessa, e poi specifica: “Il loro lavoro insegna a non recitare davanti a un microfono con una voce artificiosa, ma piuttosto a scegliere cadenze autentiche”. E così è stato, per un podcast fluido e coinvolgente, che segue il percorso della storia con precisione e passione. Ora, non resta che ascoltarlo. E, se lo si desidera, gustarlo come un piacere da assaporare lentamente.